Virgilio consacrò gli ultimi undici anni della sua vita
al progetto più ambizioso e più caro ai suoi potenti protettori:
un lungo poema epico nazionale che celebrasse la romanità.
Il protagonista non fu, come nell’idea originaria, Augusto, ma l’eroe
troiano Enea, figlio di Venere e fondatore della gens Iulia alla quale,
per altro, Augusto rivendicava di appartenere.
L’Eneide narra i suoi sette anni di pellegrinaggio dalla caduta
di Troia alla vittoria militare in Italia, preludio della futura grandezza
di Roma.
Lo stile e la concezione dell’opera derivano dal modello dei grandi
poemi epici attribuiti a Omero, l’Iliade e l’Odissea, ma vi si riconoscono
anche influenze degli “Annales” di Ennio.
Nonostante l’intento dichiarato di glorificare Roma e l’imperatore,
l’ampio respiro dell’opera, la finezza psicologica, l’attenzione alla condizione
dell’individuo, conferiscono all’Eneide un valore universale.
Il poema ebbe un successo e una fama immediati.
In gran parte degli episodi narrati nell’Eneide fa da filo conduttore
il concetto di volontà divina, che, se vista in un ambito più
generale, è alla base della concezione dell’Impero stesso, nato
per volontà divina.
A differenza degli analoghi personaggi nel poema omerico, che si
ribellano alla propria condizione, i personaggi virgiliani, e più
fra tutti Enea, sono consapevoli del proprio ruolo fondamentale e del destino
che li attende: è il cosiddetto concetto di pietas, molto apprezzato
in età augustea, che prevedeva la completa sottomissione alla famiglia,
alla patria e agli dei.