GLI AUTORI

E. MONTALE I. CALVINO D. PENNAC
F. KAFKA P. HANDKE E. STRITTMATTER
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Eugenio MONTALE

 

 

 

 

 

Chi è Eugenio Montale

E' ancora possibile la poesia ? La mia musa
 

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Lucia

Francesca

Giulia

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Chiara e Francesco

 

 

E' ancora possibile la poesia ?

       Ho scritto poesie e per queste sono stato premiato, ma sono stato anche bibliotecario, traduttore, critico letterario e musicale e persino disoccupato per riconosciuta insufficienza di fedeltà a un regime che non potevo amare. Pochi giorni fa è venuta a trovarmi una giornalista straniera e mi ha chiesto: come ha distribuito tante attività così diverse? Tante ore alla poesia, tante alle traduzioni, tante all'attività impiegatizia e tante alla vita? Ho cercato di spiegarle che non si può pianificare una vita come si fa con un progetto industriale. Nel mondo c'è un largo spazio per l'inutile, e anzi uno dei pericoli del nostro tempo è quella mercificazione dell'inutile alla quale sono sensibili particolarmente i giovanissimi.

       In ogni modo io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà. Ma non è il solo, essendo la poesia una produzione o una malattia assolutamente endemica e incurabile.

       Sono qui perché ho scritto poesie: sei volumi, oltre innumerevoli traduzioni e saggi critici. Hanno detto che è una produzione scarsa, forse supponendo che il poeta sia un produttore di mercanzie; le macchine debbono essere impiegate al massimo. Per fortuna la poesia non è una merce. [...]

      Sotto lo sfondo così cupo dell'attuale civiltà del benessere anche le arti tendono a confondersi, a smarrire la loro identità. Le comunicazioni di massa, la radio e soprattutto la televisione, hanno tentato non senza successo di annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione. Il tempo si fa più veloce, opere di pochi anni fa sembrano «datate» e il bisogno che l'artista ha di farsi ascoltare prima o poi diventa bisogno spasmodico dell'attuale, dell'immediato. [...] In tale paesaggio di esibizionismo isterico quale può essere il posto della più discreta delle arti, la poesia? La poesia così detta lirica è opera, frutto di solitudine e di accumulazione. Lo è ancora oggi ma in casi piuttosto limitati. [...]

       Avevo pensato di dare al mio breve discorso questo titolo: potrà sopravvivere la poesia nell'universo delle comunicazioni di massa? È ciò che molti si chiedono, ma a ben riflettere la risposta non può essere che affermativa. Se s'intende per poesia la così detta bellettristica è chiaro che la produzione mondiale andrà crescendo a dismisura. Se invece ci limitiamo a quella che rifiuta con orrore il termine di produzione, quella che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un'epoca e tutta una situazione linguistica e culturale, allora bisogna dire che non c'è morte possibile per la poesia.

 E.Montale, Sulla poesia, Mondadori, Mi 1976

Il commento di LUCIA

LA POESIA: L'INUTILE CHE ARRICCHISCE

     Eugenio Montale, ricevendo il premio Nobel per la letteratura nel 1975, si pone la domanda se sia ancora possibile la letteratura.

     La condizione del mondo d’oggi, di “esibizionismo isterico”, di “bisogno spasmodico dell’attuale”, annienta le fonti per le quali i sentimenti di un artista si trasformano in versi, ovvero la solitudine, la riflessione e il tempo. Quest’ultimo, accelerato dall’attuale società del benessere, è quello che soprattutto corrode quest’arte –quale è di fatto la poesia- impoverendone il contenuto e azzerandone le qualità, anzi relegandola in secondo piano per far spazio ad una produzione economicamente utile – qualità estranea ad un’autentica  opera lirica.

     Appoggiata dai mezzi di comunicazione, soprattutto dalla televisione, la divulgazione di una letteratura di mercato o “bellettristica” andrà via via sempre crescendo, per la diffusione dell’istruzione e di una più consapevole importanza attribuita alla cultura.

La domanda di Montale però, se la “vera” poesia (ovvero quella che egli definisce come “prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo” e ancora come “una produzione o una malattia assolutamente endemica e incurabile”) sia ancora possibile, ha fortunatamente una risposta positiva.

Sì, la poesia, arte umile, che non si impone ma che si fa piacere, che non diventa oggetto del mercato ma che viene dettata da un’intima e autentica “Musa”, è imperitura –afferma Montale-, non destinata a soccombere alla ruggine della mutevolezza dei tempi.  

      A cura di Lucia Radillo

Il commento

di  FRANCESCA

        Il poeta Eugenio Montale, quando nel 1975 ricevette il premio Nobel per la letteratura, pronunciò un discorso non troppo formale, chiedendosi che cosa fosse la poesia e se essa fosse ancora possibile nella civiltà industriale. Egli si definiva infatti, prima ancora che poeta, una persona comune : “sono stato anche bibliotecario, traduttore, critico letterario e musicale, perfino disoccupato” pur di evitare di servire un regime in cui non credeva.   Questi i punti fondamentali della sua riflessione.

  • La POESIA NON E’ PRODUTTIVA, non si può progettare come un prodotto industriale e non porta a vantaggi concreti:

       “…non si può pianificare una vita come si fa con un progetto industriale…”

  • La POESIA E’ INUTILE ma NON E’ DANNOSA

      “…ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo…” 

  • Per fortuna la POESIA NON E’ MERCE”

      L’attuale civiltà del benessere tende ad impoverire l’arte commercializzandola, ma la vera poesia, intesa come insieme di riflessioni profonde e sincere, può superare l’influsso negativo del consumismo.  

  • La POESIA RICHIEDE TEMPO, SOLITUDINE E RIFLESSIONE.

      “…La poesia così detta lirica è frutto di solitudine e di accumulazione…”. Ma e’ proprio la disponibilità alla riflessione interiore, a ritagliarsi degli spazi nella frenesia della vita moderna che tende a mancare: non resta tempo per “la più discreta delle arti”, la poesia.

  • “…POTRA’ SOPRAVVIVERE LA POESIA NELL’UNIVERSO DELLE   COMUNICAZIONI DI MASSA?…”

     Secondo Montale sì: se per poesia si intende quella che riesce ad esprimere in sé “tutta un’epoca e tutta una situazione linguistica e culturale”, allora “non c’è morte possibile per la poesia

        A cura di Francesca Tominz 

Il commento di GIULIA

         Eugenio Montale, nel 1975, nell’atto di ricevere il solenne premio Nobel per la letteratura, compie un discorso inaspettato, adottando un linguaggio semplice e modesto che sembra smitizzare la poesia e la propria produzione più che esaltarla.

        Tuttavia afferma con convinzione il valore della vera poesia, che , pur vivendo in mondo proteso al consumismo e alla mercificazione delle cose inutili, conseguenza dell’attuale civiltà del benessere dove anche il prodotto artistico tende a smarrirsi perdendo la sua identità, consiste nel raccoglimento e nella riflessione delle proprie idee. Il poeta conclude interrogandosi sul ruolo della poesia e sul posto che essa occupa in questa società distinguendo la poesia “bellettristica”, destinata a crescere smisuratamente per la diffusa mania di pubblicazione, da quella che “sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un’epoca”  che non morrà mai.

         A cura di Giulia Alberi

 

                  La mia Musa

    La mia Musa è lontana: si direbbe

( è il pensiero dei più ) che mai sia esistita.

Se pure una ne fu, indossa i panni dello spaventacchio

alzato a malapena su una scacchiera di viti.

    Sventola come può; ha resistito a monsoni

restando ritta, solo un po' ingobbita.

Se il vento cala sa agitarsi ancora

quasi a dirmi cammina non temere,

finché potrò vederti ti darò vita.

    La mia Musa ha lasciato da tempo un ripostiglio

di sartoria teatrale; ed era d'alto bordo

chi di lei si vestiva. Un giorno fu riempita

di me e ne andò fiera. Ora ha ancora una manica

e con quella dirige un suo quartetto

di cannucce. È la sola musica che sopporto.

                                            E.Montale, Diario del '71 e del '72, 

                                            in Opere complete, Mondadori, Mi 1996

 

Il commento di CHIARA e FRANCESCO

        Da questa composizione in versi liberi, presentata da Eugenio Montale nel suo penultimo libro di versi (Diario del ’71 e del ’72 ), emerge con chiarezza la sua concezione di poesia. 

        La solennità del titolo potrebbe indurre il lettore a immaginare un medesimo tono all’interno dell’ opera; questa solennità invece si rivela puramente ironica: l’immagine classica d’ispirazione poetica della Musa qui è rappresentata allegoricamente da figure semplici ed umili, come lo “spaventacchio” o un vecchio abito teatrale. 

        Montale si distacca dallo stile elevato e sontuoso della poesia classica per intraprendere un cammino di riflessione più concreto.  Le scelte stilistiche si riallacciano a quelle della conversazione comune attraverso immagini di oggetti poveri; e tuttavia egli attribuisce alla poesia una grande importanza, almeno sul piano personale.  Il rapporto tra il poeta e la sua Musa è comunque positivo e sincero: non verrà mai a mancare.  

        A cura di Chiara Torselli e Francesco Toncich

 

 

Chi è Eugenio MONTALE

        Nato a Genova nel 1896 da una agiata famiglia borghese, dopo aver frequentato le scuole tecniche intraprende studi di canto e musica lirica, che però è costretto a interrompere a causa della morte del maestro e dello scoppio della prima guerra mondiale, nella quale è arruolato come ufficiale di fanteria a Vallarsa (Trento). Continua a sviluppare la sua vasta cultura da autodidatta.

        A Torino, nel 1922, sostiene il movimento antifascista, collaborando con la rivista "Primo Tempo"  ed avvicinandosi all’attività politico-culturale di Piero Gobetti (1901-1926).  Proprio nelle edizioni di Gobetti, nel 1925, compare la prima raccolta poetica di Montale, Ossi di Seppia. Nello stesso anno egli firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce.

        Nel 1928 viene nominato direttore del Gabinetto scientifico-letterario Viesseux, a Firenze; alla fine degli anni Trenta verrà rimosso dall’incarico perché non iscritto al partito fascista. Nel ’39 pubblica la raccolta Le Occasioni. Dal 1947 Montale è a Milano dove si dedica al giornalismo: è redattore, critico musicale e critico letterario del “Corriere della Sera”. La produzione poetica di questi anni sfocia nella pubblicazione di La Bufera e Altro nel 1956. A questa raccolta ne seguiranno altre: Satura (1971), Diario del ’71 e del ’72, (1973), Quaderno di 4 Anni (1972).

        Contemporaneamente cresce la fama del poeta; è nominato senatore a vita nel 1967 e nel 1975 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura.

        Muore a Milano nel 1981.

        La poesia di E.Montale, pur nell'evoluzione delle sue diverse fasi (dai toni scabri, alle metafore oscure, al linguaggio parlato), si caratterizza sempre per la ricerca di un messaggio essenziale, per l'espressione di un dolore esistenziale, in un rapporto critico e "disarmonico" con la realtà. 

                                                                                   A cura di Giulia Alberi e Alessio Maiuri


 

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Italo CALVINO

 

Chi è Italo Calvino

Perché leggere i classici?

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Commento

 


Perché leggere i classici?

[...]

3. I classici sono libri che esercitano un'influenza particolare sia quando si impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.

[...]

6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.

[...]

9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscere per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, insoliti.

Naturalmente questo avviene quando un classico "funziona" come tale, cioè stabilisce un rapporto personale con chi lo legge. Se la scintilla non scocca, niente da fare: non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore.

Tranne che a scuola: la scuola deve farti conoscere bene o male un certo numero di classici tra i quali (o in riferimento ai quali) tu potrai in seguito riconoscere i "tuoi" classici. La scuola è tenuta a darti degli strumenti per esercitare una scelta, ma le scelte che contano sono quelle che avvengono fuori e dopo ogni scuola. E' solo nelle letture disinteressate che può accadere d'imbatterti nel libro che diventa il "tuo" libro.

[...]

11. Il "tuo" classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto o magari in contrasto con lui.

[...]

12. [...] "Perché leggere i classici anziché concentrarci su letture che ci lasciano capire più a fondo il nostro tempo?" e  "Dove trovare il tempo e l'agio della mente per leggere dei classici, soverchiati come siamo dalla valanga di carta stampata dell'attualità?   [...]  Il massimo rendimento della lettura dei classici si ha da parte di chi ad essa sa alternare con sapiente dosaggio la lettura d'attualità.  [...] L'attualità può essere banale e mortificante, ma è pur sempre un punto in cui situarci per guardare in avanti o indietro. Per poter leggere i classici si deve pur stabilire "da dove" li stai leggendo. [...]  Aggiungiamo dunque:

13. E' classico ciò che tende a relegare l'attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.

[...]

Ora dovrei riscrivere tutto l'articolo facendo risultare ben chiaro che i classici servono a capire chi siamo e dove siamo arrivati [...]   Poi dovrei riscriverlo ancora una volta perché non si creda che i classici vanno letti perché "servono" a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici.

I. Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Mi 1991

 

 

       Perché leggere i classici  è un breve articolo del 1981 in cui Calvino cerca di definire che cosa siano, a che cosa servano i libri dei grandi autori, quale atteggiamento sia opportuno tenere nei loro confronti.

        Le domande non sono semplici, e Calvino propone una serie di definizioni che si susseguono, correggendosi, arricchendosi, toccando altri aspetti della questione. 

        Non è agevole, quindi, riassumere o commentare il senso del testo , tanto esso è denso e ricco, scritto con la consueta "esattezza" e "leggerezza" di Calvino: meglio invitarvi a leggerlo nella sua versione originale (come peraltro Calvino sempre consiglia nei confronti dei classici).

        E' un testo breve, di una decina di pagine, facile da reperire, in cui ciascuno potrà trovare un'osservazione che  meglio risponda alla propria esperienza.

        Ci limitiamo ad osservare che in queste poche pagine ritroviamo risposte molto vicine a quelle che   altri autori (Montale, Pennac, Kafka,...) hanno offerto alle nostre domande fondamentali. Anzi, potremmo dire che  questo piccolo saggio ci ha aiutato a definirle meglio, le nostre domande:

 

          a cura di E.Batagelj

 

Suggestioni

 

        Italo Calvino ci propone spesso nei suoi romanzi, oltre che nei suoi saggi, riflessioni sul significato, sull'atto stesso della lettura.

        Qualche suggestione:

        Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo "Se una notte d'inverno un viaggiatore" di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda  sfumi nell'indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c'è sempre la televisione accesa.

I. Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore, Einaudi, To 1979

    E' un romanzo che parla di romanzi, di Lettori e di Lettrici. Da leggere.

 

 

 

 

 

                        Con ciò, tutto era finito. Si salutarono, lei tornò al suo posto, lui al suo e si rimise a leggere. Era stato un intermezzo durato il tempo giusto, né più né meno, un rapporto umano non antipatico (la signora era cortese, discreta, docile) appunto perché appena accennato. Ora nel libro ritrovava un'adesione alla realtà molto più piena e concreta, dove tutto aveva un significato, un'importanza, un ritmo. Amedeo si sentiva in una condizione perfetta: la pagina scritta gli apriva la vera vita, profonda e appassionante, e alzando gli occhi ritrovava un casuale ma gradevole accostarsi di colori e sensazioni, un mondo accessorio e decorativo, che non poteva impegnarlo in nulla.

I.Calvino, L'avventura di un lettore, in Gli amori difficili,  Einaudi, To 1970

 

         Non lasciatevi ingannare dall'ironia di Calvino: il racconto mette in luce un aspetto critico della passione per la lettura, che può anche "distrarre" dalla realtà.     Chi preferisce vivere nel mondo dei libri piuttosto che nelle situazioni reali può vivere le esperienze e le emozioni altrui, ma rischia di  perdere le occasioni di viverle in prima persona.

 

Chi è Italo CALVINO

       Italo Calvino nasce nel 1923 a Santiago de las Vegas a Cuba. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Sanremo. Renitente alla leva, partecipa in gioventù alla lotta partigiana, esperienza che segna lo scrittore e sulla quale si basa il suo primo romanzo d’impronta neorealista, Il sentiero dei nidi di ragno, scritto nel 1947, e la raccolta di racconti Ultimo viene il corvo.

        Lo scrittore diventa molto noto attorno gli anni ’50-’60, quando pubblica la trilogia I nostri antenati, composta dai tre brevi romanzi fantastici Il barone rampante, Il visconte dimezzato e Il cavaliere inesistente.   L’interesse per la tradizione narrativa popolare si concretizza nella raccolta Fiabe italiane del 1956.

        Negli anni ’60 e ’70 continua a comporre racconti e romanzi sperimentando modalità narrative e linguistiche sempre nuove  (Marcovaldo, Le cosmicomiche, Le città invisibili, Gli amori difficili, Se una notte d’inverno un viaggiatore…). I saggi Lezioni americane, escono postumi dopo la sua morte, avvenuta a Siena nel 1985 per un ictus.

        A cura di Krizia Nardini


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Daniel PENNAC

Chi è Pennac

I diritti imprescrittibili del lettore

Commento


 

Il cosa-leggerà-la gente

(o i diritti imprescrittibili del lettore)

-Il diritto di non leggere

-Il diritto di saltare le pagine

-Il diritto di non finire un libro

-Il diritto di rileggere

-Il diritto di leggere qualsiasi cosa            

-Il diritto al bovarismo

-Il diritto di leggere ovunque

-Il diritto di spizzicare

-Il diritto di leggere a voce alta

-Il diritto di tacere

D.Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli, Mi 1993

 

da “Il diritto di non leggere”

 

         ”...Il dovere stesso di educare consiste, in fondo, insegnando a leggere ai bambini, iniziandoli alla Letteratura, nel fornire loro gli strumenti per giudicare liberamente se provano o meno “il bisogno di libri”. Perché, se possiamo tranquillamente ammettere che un singolo individuo rifiuti la lettura, è intollerabile che egli sia –o si ritenga- rifiutato da essa…”.

   

 

Il commento di FRANCESCA1

 

        Affermando che ciascuno di noi ha “il diritto di non leggere”, Pennac ci offre una spiegazione del perché a scuola leggiamo, o siamo costretti a leggere, alcuni libri.  

        Educare, come dice Pennac, consiste nel fornire gli strumenti in grado di farci capire se abbiamo o no “il bisogno di libri”.  

        Lo scrittore proclama il “diritto di non leggere”, ma questo implica quello di leggere: infatti per essere liberi di non leggere bisogna poter scegliere. Bisogna quindi possedere alcune competenze che si apprendono solo leggendo.  

        Queste competenze sono fondamentali perché altrimenti vi è la possibilità che non sia l’individuo a rifiutare la lettura, ma sia questa a rifiutare lui.  

da ”il diritto di leggere qualsiasi cosa

“…cerchiamo degli scrittori, cerchiamo uno stile, basta con i compagni di giochi, vogliamo compagni di essere…”  

       

 

 

 Quando da giovani cominciamo a leggere, ci imbattiamo in un po’ di tutto.  

        Ad un certo punto ci accorgiamo però che non ci bastano più i poco impegnativi romanzetti da quattro soldi che propongono una troppo semplice, e quindi non sempre veritiera, visione della vita. Siamo diventati lettori più maturi; cerchiamo qualcosa di più profondo, come dice Pennac, vogliamo “compagni di essere”, non solo passatempi.  

        Ma chi sono questi “compagni di essere”? Sono una sorta di “anima gemella letteraria”, personaggi con cui si condivide molto, sotto molti punti di vista. Riusciamo a trovarli quando per esempio, leggendo un libro, pensiamo :-“Non sono l’unico a pensarla così”. Insomma, sono degli “amici” con cui si hanno affinità intellettuali ma anche emotive. Come quando, per esempio, un libro ci dà reazioni di rabbia, o di commozione, ci suscita dei sentimenti profondi. Se ci succede così leggendo un libro, allora abbiamo trovato un nostro “compagno d’essere”.  

da “Il diritto di tacere

        “…L’uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale…la lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun altro, ma che nessun altro potrebbe sostituire. Non gli offre alcuna spiegazione definitiva sul suo destino ma intreccia una fitta rete di connivenze tra la vita e lui. Piccolissime, segrete connivenze che dicono la paradossale felicità di vivere, nel momento stesso in cui illuminano la tragica assurdità della vita. Cosicché le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere…”  

 

        L’uomo si dedica ad attività economiche poiché  vive e quindi ha esigenze pratiche, ma si dedica alla lettura perché sa che morirà, sa che oltre a lui c’è un mondo infinito, complesso, incomprensibile. La lettura ma non gli offre nessuna spiegazione su cosa gli riserverà il futuro. Ciononostante gli è utile per capire il suo presente, la realtà in cui vive, per cogliere un possibile senso delle cose.  

      a cura di Francesca Tominz

 

Altri spunti da  Come un romanzo

  BISOGNA LEGGERE?

“…L’idea che la lettura “umanizzi l’uomo” è giusta in linea generale, ma ammette alcune tristi eccezioni……ma guardiamoci dall’associare a questo teorema il corollario secondo il quale ogni individuo che non legge dovrebbe essere considerato a priori come un potenziale bruto o un cretino assoluto. Poiché, così facendo, faremmo passare la lettura per un obbligo morale…”  

LA CATTIVA LETTERATURA

“…diciamo a grandi linee che esiste quella che chiamerei una “lettura industriale” che si limita a riprodurre all’infinito gli stessi tipi di racconti, che fabbrica stereotipi a catena, fa commercio di buoni sentimenti e sensazioni forti, prende al volo tutti i pretesti offerti dall’attualità per sfornare una narrativa di circostanza, effettua “studi di mercato” per piazzare secondo la “congiuntura” un determinato tipo di “prodotto” che si ritiene debba infiammare una determinata categoria di lettori…”  

Chi è Daniel PENNAC?

Daniel Pennac, scrittore francese nato a Casablanca nel 1944,  oggi è un insegnante di lettere in pensione. Vive a Parigi, nel caratteristico quartiere di Belleville, un universo multiculturale popolato da immigrati provenienti da tutto il mondo, quasi uno spaccato della realtà problematica del mondo contemporaneo.  Questo quartiere  e questi problemi prendono vita in molti romanzi di Pennac (La fata carabina,  Il paradiso degli orchi, La prosivendola , Signor Malaussène, Ultime notizie dalla famiglia , Signori bambini…), i cui protagonisti appartengono ad una strana famiglia, che ruota attorno al personaggio di Benjamin Malaussène, dal singolare mestiere  di capro espiatorio.

Questi romanzi sono caratterizzati da una forte dimensione fantastica (che assume volentieri le forme del poliziesco),  attraverso cui Pennac ama rappresentare i problemi fondamentali della società contemporanea.  L'ultima sua opera narrativa, Ecco la storia  (2003), è invece un "metaromanzo", un gioco e insieme una riflessione sui processi creativi, sugli straordinari intrecci tra realtà e finzione.

          Nel suo saggio narrativo,  Come un romanzo (1993), Pennac ha raccolto le sue riflessioni sulla lettura con la sensibilità di un lettore, scrittore, insegnante e genitore al tempo stesso; il senso di queste riflessioni viene riassunto nei dieci “diritti imprescrittibili del lettore”.  


 

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