LA MANSIO 

E LE STRADE ROMANE

 

Dall'Itinerarium Antonini e dalla Tabula Peutingeriana sappiamo che da Aquileia si giungeva a Tergeste (Trieste), Pola (Pola) e Tarsatica (Fiume) passando per la stazione di posta Fonte Timavi, a XII miglia (18 chilometri) da Aquileia. 

Presso questa mansio la strada si divideva in due rami: uno attraverso l'altipiano carsico raggiungeva Tarsatica, l'altro, passando per Tergeste, scendeva lungo la costa occidentale dell'Istria fino a Pola.

La Tabula Peutingeriana raffigura la mansio con uno stabilimento termale presso un lago costiero, non comunicante con il mare. Questo ha portato ad ipotizzare che i resti di un grande edificio d'età romana ritrovato presso le fonti del Timavo potessero appartenere proprio a questa mansio, cioè ad un albergo, un luogo di sosta posto in un punto nodale della rete viaria romana nella X Regio, la Venetia et Histria.

L'edificio è stato scoperto nel 1976 nel comprensorio dell'ACEGAS (l'azienda cittadina che cura la distribuzione di acqua, elettricità e gas) durante gli scavi dell'acquedotto del Randaccio: si presenta come una struttura abitativa di grande estensione, articolata su piani diversi, pavimentata con mosaici appartenenti all'epoca augustea.

 

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Questo edificio presenta tre fasi costruttive: il nucleo più antico è costituito da alcuni locali risalenti al I secolo a.C. con vani piuttosto piccoli, che poi nel I secolo d.C. vennero ampliati, ingranditi e ripavimentati con mosaici a tessere bianche e nere che disegnavano motivi geometrici. Nel II o agli inizi del III secolo tutto l'edificio venne declassato. Un bellissimo mosaico venne coperto dalla costruzione di un rozzo focolare e altri vani vennero sfondati per la costruzione di vasche di cui uso è ancora incerto. Un'ulteriore trasformazione dell'edificio è avvenuta per l'adattamento ad attività artigianali.
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Le strade romane sul Carso triestino

 

 

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All'epoca romana il caposaldo di tutte le comunicazioni in questa zona era Aquileia, importante nodo di traffici tra l'Italia e le regioni orientali. Ad Aquileia giungevano la via Annia da Rimini e Roma e la via Postumia dalla valle Padana.

Da Aquileia partivano, dirette vesto est, le seguenti strade:

1) il ramo nord della via Gemina, detto via Augusta Postumia, che per Gradisce, la valle del Vipacco, Castra (Aidussina), il valico ad Pirum e Longaticum portava ad Emona (Lubiana) ; secondo taluni il nome sarebbe derivato alla strada direttamente da quello dell'omonima legione (la XIII, cui si deve certamente la costruzione del ponte Locavaz, nel I secolo a.C.). Secondo altri il nome Gemina (gemella) era stato dato alla grande arteria dei traffici per l'Oriente perché essa si biforcava da un lato verso Colonia Polensis (Pola) passando per Trieste e dall'altro raggiungendo Tarsatica (Fiume) attraverso l'altipiano carsico.

2) una strada che passando per Ronchi, Jamiano, la valle lunga di Brestovizza (a nord del monte Ermada), Goriano e l'altipiano di Comeno scendeva poi a Castra. 3) il ramo sud della via Gemina, detto anche via Timavi, che passando per Ronchi e Jamiano, e deviando poi a sud per Duino, Prosecco, Avesica (forse Basovizza), ad Malum (Mattria), Castelnuovo, ad Titulos (Sapiane), raggiungeva Tarsatica (Fiume). Di là per la via Egnatia si arrivava a Bisanzio.

 

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M

I L   M I T R E O

 

Un' interessante tappa del nostro percorso è la visita al tempio ipogeo del mitreo, luogo dove i romani celebravano il culto misterico del dio Mitra.

La cavità naturale si apre sulle pendici meridionali del monte Ermada a cinquanta metri di quota e distante cinquecento metri dalle risorgive del fiume Timavo.

E' un sito archeologico molto importante perché è l'unico mitreo in cavità naturale che sia stato ritrovato in Italia (a Roma, ad Aquileia o in altre città romane il tempio veniva allestito in cantine) ed è uno dei più antichi della penisola (metà I sec. d.C.).

La scoperta del sito è avvenuta recentemente. Durante i lavori di disostruzione sono venuti alla luce molti reperti: alcune are, circa quattrocento monete risalenti perlopiù al III-IV sec. d.C., centosessanta lucerne, vasetti di terracotta (databili dalla metà del II sec. alla metà del V) e frammenti di rilievi raffiguranti il culto di Mitra.

Il Mitreo appare oggi ricostruito fedelmente con i calchi delle due lapidi e di sei arette (gli originali si trovano al Museo Capitolino di Trieste).

Ai lati della grotta ci sono due banconi paralleli dove sedevano i fedeli per assistere al culto misterico. Tra questi si trova l'ara sacrificale, fatta di un blocco di calcare squadrato.

Sulla parete di fondo è stata posta la più integra delle due lapidi che raffigura il dio frigio mentre compie il sacrificio di un toro: sotto il toro c'è uno scorpione, sopra Mitra un corvo, chiari simboli del cielo e della terra.

L'altra stele, posta sulla parete ad ovest, raffigura il dio in procinto di uccidere il toro che si alza rampante.

Il Mitreo cadde in decadenza con l'affermazione del Cristianesimo. Venne infatti distrutto due volte nel IV e V sec. dai cristiani che imperversarono frantumando con violenza ogni segno del culto pagano.

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Il Mitraismo

 

Il culto del dio Mitra, divinità indoiranica della luce, nacque in ambito persiano e si affermò in seguito in Asia Minore (dove Mitra assunse l'immagine con cui fu noto ai romani, ossia con pantaloni e berretto frigio). Si diffuse a Roma fin dal I secolo d.C., con massima espansione nei due secoli successivi, attraverso la conversione dei soldati romani stanziati ai confini con l'Asia e il Medio Oriente e perdurò in occidente fino al IV sec. ed in Oriente fino alla conquista araba (VII sec.).

Serio concorrente del cristianesimo per alcuni elementi comuni (monoteismo, rinascita dopo la morte) rimase molto vivo a livello popolare poiché si proponeva come culto di salvezza

 Noto a Roma già nel I sec. (Nerone fu iniziato ai suoi misteri), il mitraismo si rinforzò soprattutto sotto Antonino Pio, Commodo e la dinastia dei Severi, che ne favorirono la popolarità.

Anche Costantino professò per un lungo periodo "il culto del sole Invitto" prima di convertirsi al cristianesimo e farne religione ufficiale.

Dopo la diffusione del cristianesimo, che si espanse soprattutto tra il popolo, il mitraismo rimase come culto pagano praticato dagli aristocratici fino alla sua estinzione.

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Il dio Mitra

 

Simbolo di luce, Mitra era una divinità solare, aiutante di un dio maggiore (Ahura Mazdah nella religione iranica) nella lotta contro il male.

Secondo una delle versioni più antiche del mito, Mitra sgozza il toro, simbolo della vita, per sottrarlo allo spirito del male: dal sangue del toro rinasce la vita e alla fine del mondo questo sacrificio darà l'immortalità ai fedeli del dio. Il momento principale del rito consiste quindi nello sgozzamento del toro, compiuto dal dio Mitra in persona.

Il sacrificio segna un momento di transizione analogo a quello dei mutamenti stagionali, assicura la fertilità e purifica l'animo umano. Il toro soffre, tanto che perfino il dio deve distoglierne lo sguardo, ma dal corpo dell'animale smembrato potrà nascere un cosmo rinnovato.

Il culto del Sole Invitto era una religione misterica alla quale si poteva accedere soltanto attraverso dei riti di iniziazione distinti in sette gradi: Corvo, Nascosto o Ninfo, Soldato, Leone, Persiano, Corriere del Sole, Padre.

Le prove erano basate sulla forza e sul coraggio come percorrere più volte un tratto di mare, digiunare e fare penitenze.

Il rito iniziatico celebrato in dicembre nei mitrei, che rappresentavano la volta celeste, prevedeva dei sacramenti come il battesimo con acqua e miele ma anche pratiche magiche ed astrologiche.

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A

IL DINOSAURO ANTONIO

 

 

Presso il Villaggio del Pescatore è stato recentemente recuperato il fossile integro di un grande dinosauro: Antonio.

 

 

La scoperta del giacimento

 

Verso la fine degli anni '80 un appassionato studioso di minerali scoprì, nei pressi della cava abbandonata del Villaggio del Pescatore, alcuni resti fossili. Questo fatto destò la sua curiosità e dopo aver analizzato alcuni campioni, con la collaborazione di un esperto paleontologo, si constatò che i resti (zampe anteriori, un osso pubico, un coracoide, vertebre) appartenevano ad un "grande rettile". Venne così presentata la domanda di concessione per gli scavi, che iniziarono nel 1995.

I primi reperti fecero capire che il dinosauro apparteneva alla famiglia Hadrosauridae.

Nel '94 venne trovata una zampa anteriore di un secondo individuo, che è poi risultata essere soltanto la parte affiorante di un esemplare praticamente completo.

 

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Le tecniche del recupero

 

Per tutte le operazioni di scavo e di trasporto del fossile sono state usate tecniche d'avanguardia, che hanno permesso di estrarre il dinosauro dalla roccia "affettata" in grandi blocchi, poi rimossi ed esaminati in laboratorio. Così è stato trovato il dinosauro dal becco ad anatra battezzato Antonio, risalente a 80 milioni di anni fa, esattamente nella posizione ipotizzata.

Intorno alle ossa del dinosauro, però, si erano formati dei vuoti, causati da una parziale dissoluzione chimica, dovuta all'acqua circolante. Per conoscere, quindi, la struttura interna della roccia contenente Antonio si è indagato con raggi x, raggi gamma e impulsi ad ultrasuono. Le fessure sono state quindi 

consolidate grossolanamente a mano e le ossa sono state ulteriormente cementate, per rendere più sicuro il trasporto in laboratorio. Qui è attualmente in corso la preparazione dei campioni fossiliferi con metodi chimici (centinaia di bagni in acido formico alternati a sciacqui e impregnazione delle ossa via via emergenti). Alla fine del procedimento (circa 1000 ore) risulterà uno scheletro di adrosauro articolato e completo in tutti i suoi particolari, nella posizione post mortem.

 

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L'importanza del giacimento

 

Questo è il primo giacimento italiano di resti di più dinosauri adrosauri (forse un trentina), ma anche di piccoli coccodrilli dal muso corto, un chelone, piccoli pesci, gamberi e vegetali.

Lo stato di conservazione è eccezionalmente buono: gli scheletri sono interi e in perfetta posizione anatomica.

Antonio (che oggi si sa essere probabilmente una femmina) è il più antico e completo esemplare di adrosauro al mondo (quelli più antichi sono frammentati, quelli completi sono più recenti) ed è anche il più antico e completo rinvenuto in Europa (gli altri sono frammentati e hanno circa 65 milioni di anni).

Antonio e gli altri resti contribuiranno a chiarire l'evoluzione degli adrosauri, la loro area d'origine e le vie di migrazione. La loro presenza mette anche in dubbio le attuali teorie geologiche sulla zona, perché indica una terra emersa dove si pensava ci fosse solo mare.

 

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La datazione: i paleoambienti di 80 milioni di anni fa

 

   Nelle rocce che contengono i reperti fossili si nota una successione di strati di rocce (calcari fossiliferi e brecce calcaree) che presentano una giacitura inclinata verso il mare. Questi calcari ci fanno capire che il clima era tipico delle zone tropicali e subtropicali. Gli strati di roccia che si incontrano camminando verso il mare si possono visualizzare in una colonna, alla base della quale troviamo le rocce più antiche, a monte dello scavo.    Guardando le rocce al microscopio, si ritrovano molluschi e altri piccoli microfossili in un fango carbonatico: tutto indica un ambiente lagunare che si potrebbe trovare dietro una scogliera tropicale, corrispondente quindi a circa 80 milioni di anni fa.

 

 

Come si è conservato Antonio

 

Le carcasse dei dinosauri morti vengono completamente distrutte dagli agenti atmosferici, dalla putrefazione e dai predatori. I resti scheletrici si conservano solo se finiscono in un ambiente idrico dove possono essere coperti rapidamente dal sedimento trasportato dalle acque. 

Antonio e altri esemplari sono finiti sul fondo di uno specchio d'acqua e, data la quasi assenza di correnti o moti ondosi, sopra la carcassa si sono depositati strati di fango che sono diventati poi roccia.

Il Comune di Duino Aurisina è intenzionato a valorizzare il cantiere paleontologico e a farne un centro di interesse turistico culturale.

 

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ADROSAURI

   Gli Adrosauri,  noti anche con il soprannome di "dinosauri dal becco ad anatra", sono vissuti tra i 95 e i 65 milioni di anni fa. 

   Erano bipedi, ma potevano spostarsi anche a quattro zampe e si nutrivano di vegetali, che tritavano con la loro caratteristica dentatura costituita da batterie dentarie formate da centinaia di denti.

   Avevano un muso appiattito, da cui deriva appunto il loro soprannome.

Furono particolarmente comuni nelle pianure costiere del nord America alla fine del periodo cretaceo.

 


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