LA STORIA

 

La preistoria
L'età romana
Il medioevo
Dal  '400 all' 800
I Duinati
Gli sloveni del carso
Il Novecento

 


 

 

LA PREISTORIA

 

      Delle origini antiche del territorio carsico ci parlano i numerosi miti relativi alla zona delle sorgenti del Timavo. Ma al di là delle leggende, segni inequivocabili della presenza umana nella regione sono costituiti dai recenti ritrovamenti archeologici in numerose grotte del carso, risalenti fino al paleolitico inferiore: oggi sappiamo che il riparo di Visogliano era frequentato dall' Homo erectus, la grotta Pocala di Aurisina dall' Homo sapiens neanderthalensis. Depositi mesolitici sono stati scoperti nelle vicine grotte Azzurra, Edera, Caterina.

      La presenza umana in età neolitica è attestata da manufatti silicei e ceramici nelle grotte degli Zingari, dei Ciclami, ma anche nella grotta del Mitreo . All' età del bronzo appartengono i castellieri , villaggi protostorici come quello di Slivia o di Monrupino.

      La maggior concentrazione archeologica e paleontologica di tutto l'altipiano carsico si trova proprio nella zona costiera tra Duino ed Aurisina e nel suo entroterra: gli insediamenti umani erano evidentemente favoriti dall'accesso al mare di Sistiana e del Timavo.

 

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Il riparo di Visogliano

      Nel riparo di Visogliano, sul fianco meridionale di una dolina in prossimità del paese di Visogliano (una frazione di Sistiana), sono stati ritrovati i reperti umani ed animali più antichi, risalenti al paleolitico inferiore ( 450000 - 80000 a.C.).

     Il sito fu scoperto nel 1974 in seguito al rinvenimento casuale di frammenti di ossa di animali e di manufatti litici ed è stato oggetto di studi da parte delle università di Pisa e Ferrara.

      Nella parte alta del deposito è stata trovata una forte predominanza di resti di piccoli mammiferi (Allocricetus, Microtus Agrestis), mentre nella parte superiore abbiamo in prevalenza resti fossili di grandi pachidermi (elefante e rinoceronte di Melk) e di equini (cavallo e daino), chiari indicatori di un clima continentale e di un ambiente di prateria.

      La prima comparsa dell'uomo è testimoniata fin dalla parte più bassa del riparo dal ritrovo di sporadiche schegge e strumenti di selce. Il livello superiore è ricco di ossa e di strumenti e ciò indica una frequentazione umana più intensa.

      La materia prima degli strumenti, rappresentati principalmente da raschiatoi, risulta costituita da ciottoli vulcanici delle alluvioni dell'Isonzo.

      Ma il sito ha offerto anche interessantissimi resti degli abitatori stessi. Nel 1983, all'esterno del Riparo, è stato scoperto in una breccia un ulteriore deposito con un dente umano (premolare superiore sinistro) e un resto di mandibola appartenenti a due individui diversi, con caratteristiche simili a quelle dell' Homo erectus.

      Il tipo di deposito e l'industria che li accompagnavano hanno permesso di attribuirli al Pleistocene medio, tra i 700.000 e i 500.000 anni fa: sono i più antichi resti umani scoperti in Italia e in Europa.

      Nel 1992, poi, è stato trovato sotto il Riparo un altro molare superiore di Homo erectus, probabilmente appartenente ad un terzo ominide.

      Gli scavi proseguono lentamente, per la scarsità di mezzi, ma appare sempre più chiara l'importanza del Riparo per arricchire le conoscenze sulla Preistoria carsica ed europea.

 

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La grotta Pocala

 

      La grotta Pocala , esplorata fin dai primi decenni del secolo, si trova nei pressi dell'abitato di Aurisina. In essa sono state ritrovate tracce di popolamento risalente al Paleolitico medio.

      Sono stati individuati due livelli distinti nella stratigrafia della grotta: uno strato superficiale formato da argille di età olocenica ed uno più profondo di argille e ghiaie di epoca pleistocenica.  Nello strato superiore sono stati raccolti materiali fittili e litici attribuibili al periodo neolitico.  Da quello inferiore pervengono resti di fauna, ad esempio di Ursus spelaeus, l'orso delle caverne, di grossa stazza, uno dei più possenti mammiferi degli ultimi periodi glaciali. Ciò fa pensare che la grotta fosse utilizzata come tana e luogo di letargo.

      Sono stati ritrovati inoltre resti di altre specie animali, tra cui il leone, il leopardo, la iena, il bisonte e la renna.

      Ci sono pervenuti ancora resti di strumenti litici (raschiatoi) e in osso, scheggiati con un estremità levigate per l' uso.

 

 

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I Castellieri

 

      A partire dall'età del Bronzo (XVI sec a. C.), solitamente lontano dal mare, a difesa delle vie di penetrazione e in posizione strategica, sorsero nel territorio di Trieste delle grandi costruzioni dalla pianta circolare noti come castellieri.

      La loro presenza in questa zona fu dovuta all'invasione di popolazioni provenienti dalla penisola balcanica, all'inizio del secondo millennio; successivamente, nell'età del Ferro, con l'aumento delle migrazioni, le mura di difesa si ingrossarono: sono infatti evidenti più fasi costruttive.

      Il castelliere, nella ricostruzione che possiamo compiere in base ai resti attuali, era caratterizzato da una o più cinte murarie di detrito calcareo, il cosiddetto "vallo", sciolto o cementato da terriccio e da arbusti, che poteva avere la larghezza di 20 metri, e dai "ripiani", spazi pianeggianti larghi da 5 a 15 e più metri, racchiusi dai valli, che rappresentano l'antica area abitata.

      I muri eretti a secco sono formati da pietre abbastanza regolari, talvolta dirozzate e lisciate, specialmente sugli spigoli, dove sono stati impiegati blocchi più grandi, come pure sugli stipiti; la stessa tecnica era usata nelle case del I sec a. C. dell'antica capitale degli Istri, presso Pola.

      Nella zona abbiamo sette o forse otto castellieri di cui sono ancora evidenti le tracce: tra i più importanti il castelliere di Rupinpiccolo, quello di Monrupino e il castelliere di Elleri. Fra questi, un particolare rilievo ha il castelliere di Slivia, poco discosto dalle case dell'omonimo villaggio del comune di Duino-Aurisina.  Questo castelliere si distingue per l'imponenza delle sue macerie, tanto da esser dichiarato monumento nazionale, intitolato a Carlo de Marchesetti, studioso triestino esperto della cultura dei castellieri.

 

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L'ETA' ROMANA

 

La civiltà dei castellieri si conclude intorno al IV-III sec a.C., in coincidenza con la espansione romana nella regione. 

Tra il III e il II secolo a. C. l'altipiano carsico è sicuramente popolato dagli Istri, contro cui muovono i Romani in una serie di campagne militari tese ad un controllo definitivo del territorio, dal 221 a.C. al 15 a.C., fino alla definizione del confine del Risano.

Campagne contro gli Istri, di cui ci parla Tito Livio, si compiono nel 178-177 a.C. e nel 129 a.C. I Romani erano diventati confinanti con la bellicosa popolazione insediata su tutta la penisola istriana nel 181 a.C., con la deduzione della colonia di Aquileia: non sappiamo dove fosse situato esattamente il confine tra il territorio romano e quello degli Istri (forse al Timavo), ma è sicuro che i Romani avevano occupato la pianura, e probabilmente anche parte 

dell'altipiano carsico per il bisogno di pietra - abbondante ed ottima ad Aurisina - per l'edificazione di Aquileia .

La narrazione di Livio, anche se scritta un secolo e mezzo più tardi, è particolarmente dettagliata : nel 178 a.C. il console C. Manlio Vulsone , cui è stata affidata la Gallia Orientale, parte da Aquileia con due legioni, la II e la III, e pone il campo al Lacus Timavi , dove lo raggiunge il duumviro navale Gaio Furio con 10 navi. Ma un mattino nebbioso gli Istri attaccano di sorpresa dal colle: i soldati della II legione, con il console, scappano verso il mare e si rifugiano disordinatamente sulle navi; è la III legione che torna all'ccampamento e stermina gli Istri. La vittoria che Livio ci rappresenta sembra alquanto facile: gli Istri, trovate le vettovaglie e grandi scorte di vino, si sono ubriacati a dovere e i legionari ne approfittano uccidendone 8.000.

 

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Nella primavera successiva gli Istri vengono nuovamente sconfitti in una battaglia campale ; i Romani saccheggiano le città istriane e assediata Nesazio, presso Pola, dove è rinchiuso anche il re Epulo, la espugna facendo ricchissimo bottino. 

La seconda guerra contro gli Istri si conclude dunque con la conquista dell'intera penisola, che diverrà parte della X Regio, la Venetia et Histria. Una terza campagna viene condotta dal console C.Sempronio Tuditano, che nel 129 a.C. parte da Aquileia per muovere contro i Giapidi nella zona dell'attuale Monte Nevoso (Sneznik). Non ne sappiamo molto, ma sulla base di una statua a lui dedicata appare l'iscrizione delle miglia percorse da Aquileia al fiume Cherca.

Anche Plinio parla della regione di Trieste elencando le popolazioni che lo abitano e situando i Giapidi al Timavo, ma con imprecisioni.

Altre guerre vengono condotte dai Romani contro i Carni e i Catali: Augusto, agli inizi del I sec d.C. attribuisce a Tergeste due tribù di barbari, appunto i Carni e i Catali, che abitavano il territorio della colonia, dedotta nel 44 a.C.

Parte del territorio carsico passa quindi sotto la giurisdizione di Tergeste, con confini che tuttavia non ci sono noti: nel I secolo a.C. tutta la zona tra il Timavo e Aurisina è romana. Il  lacus Timavi  ospita un importante porto, la zona è popolata da templi (Spes Augusta ), da una stazione di posta, (la mansio Timavi ), da terme. Le cave che riforniscono di marmi Aquileia , la stessa Roma, altre città, lavorano a pieno ritmo. La baia di Sistiana è sicuramente attrezzata a porto. Resti di abitazioni romane sono presenti da Sistiana a Barcola. 

Probabilmente la fascia costiera rientrava nei territori di Aquileia fino alla zona delle cave; a sud est era di Tergeste.

 

 


 

Il MEDIOEVO

 

A partire dal II secolo d.C. il carso fu soggetto a continue invasioni barbariche: vi passarono Alarico, Attila, Odoacre; Teodorico entrò in Italia dal valico di Postumia e sconfisse gli Eruli di Odoacre nel 489 sulle rive dell'Isonzo, dando inizio al regno dei Goti.

Per questa sua posizione strategica Trieste venne occupata da Bisanzio e trasformata in base militare nella guerra greco-gotica (535-553) per la riconquista dell'Alta Italia. Il Carso venne incluso nella provincia bizantina. Tra il VI e il VII secolo, numerosi furono gli attacchi degli Avari e degli Slavi, che indebolirono le difese bizantine e si conclusero con l'invasione dell'Istria e della Dalmazia. E' da questo periodo che la presenza di popolazioni slave nelle province di Trieste, Gorizia, Udine, fino all'Istria e alla Dalmazia, si consolida, intrecciandosi strettamente con le popolazioni latinizzate.

Gli sloveni si stanziarono nelle vallate prealpine delle Giulie dedicandosi alle attività rurali, mentre popolazioni croate si stanziarono prevalentemente lungo la costa dandosi ad attività marinare e spesso alla pirateria. Da questi insediamenti nacque verso il 630 il principato di Carantania, il più antico stato slavo (nucleo della futura Cecoslovacchia).

Per rispondere a queste minacce Trieste fu trasformata in una provincia militare di frontiera (thema) e fu costituito un organismo che sommava il potere politico a quello militare, il numerus tergestinus, punto strategico contro le popolazioni slave e longobarde. Contemporaneamente agli Avari e agli Slavi , infatti, anche i Longobardi si erano insediati nel Friuli ponendo il loro centro a Cividale.

Alla fine dell'VIII secolo i Franchi sottomettono i Longobardi e Carlo Magno istituisce la Marca del Friuli e dell'Istria.

 

 

 

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Documento importantissimo dell'epoca è il Placito del Risano , da cui emerge un quadro significativo della società romano-bizantina e in cui si parla prima degli Slavi insediati nel territorio. Verso la fine dell'VIII secolo il Carso è sicuramente abitato da genti Slave.    All'evangelizzazione dei popoli Slavi risponde anche la presenza di un monastero e di un battistero presso l'attuale chiesa di S.Giovanni in Tuba. La frequentazione della chiesa e del monastero del Timavo da parte di genti Slave è attestata dal Codex aquileiensis, custodito in origine proprio nel monastero di S.Giovanni, su cui firmavano i pellegrini prima di imbarcarsi sulle navi per i luoghi santi della cristianità. Dall'VIII al X secolo le firme appartengono perlopiù a Slavi provenienti dalle regioni danubiane.

Il monastero viene distrutto nel X secolo da un'altra terribile invasione, quella degli Ungari, che saranno sconfitti da Ottone I nel 955. Alla fine del primo millennio vengono costruiti i primi castelli feudali: le campagne vengono ripopolate con contadini e servi Slavi.

 

 

 

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Il Placito del Risano

 

Il Placito del Risano dell' 804 d.C. è un documento (repromissio, o carta di promessa) relativo all'assemblea convocata dai missi dominici dell'imperatore Carlo Magno nella pianura del Risano, nel distretto capodistriano.

I messi confermano ai rappresentanti dei municipi di Trieste e di altri centri istriani l'osservanza delle consuetudini usate dal tempo dei romani e messe in discussione dal duca franco Giovanni dopo l'introduzione del sistema feudale: le condizioni della popolazione locale erano peggiorate - lamentano i rappresentanti - perché il duca si era appropriato di tutti i possedimenti, aveva tolto i diritti della pesca e della coltivazione, aveva imposto nuove tasse con violenze ed angherie. Inoltre, si lamentano i querelanti, aveva posto gli slavi a coltivare ed allevare il bestiame sui terreni già coltivati.

Le proteste non si dirigono solo contro il duca Giovanni, rappresentante del potere feudale, ma anche contro molti ecclesiastici, divenuti potenti proprietari terrieri. I possidenti istriani, che rispetto al precedente dominio bizantino si sentono impoveriti e minacciati, insorgono insomma contro questo mutamento di equilibri.

L'assemblea si conclude con l'accettazione , da parte del duca Giovanni, del patriarca Fortunato e degli altri vescovi, di ristabilire le antiche consuetudini.

Il Placito, secondo il Cusin "è il documento più importante del nostro alto medioevo" in quanto "ci mostra la società romano-bizantina nel suo estremo tramonto, ormai preda della feudalità franca a cui si son legati gli esponenti ecclesiastici". 

E' tuttavia anche la prima testimonianza scritta che illustra la presenza di popolazioni slave nel territorio triestino.

 


 

Dal Placito del Risano:   Gli Slavi

[...] Ora Giovanni ce lo nega; inoltre pose gli Slavi sulle nostre terre; loro arano le nostre terre e i nostri terreni incolti, falciano i nostri prati, pascolano [i loro animali] sui nostri pascoli e per queste nostre terre pagano l'affitto a Giovanni; inoltre non ci rimangono né bovini né cavalli, se diciamo qualcosa dicono di ucciderci; tolse i nostri confini che i nostri genitori posero secondo l'antica consuetudine.  [...] Per tre anni, quelle decime che dovevamo dare alla Santa Chiesa abbiamo dato agli Slavi pagani, quando li insediò sopra le terre della chiesa e del popolo in suo peccato e nostra perdizione.

     (traduzione dall'originale latino)

 

 


 

Dal Placito del Risano: L'Accettazione

[...]"...Gli stranieri, che risiedono sulle vostre terre, siano in vostro potere. Quanto agli Slavi di cui parlate, andiamo sulle terre ove risiedono e vediamo:se possono risiedere senza danno per voi, che vi risiedano, là dove a voi fanno qualche danno, nei campi o boschi o terreni incolti o dove che sia, noi li butteremo fuori. Se piace a voi che li mandiamo in tali luoghi dove possono stare senza danno per voi, che siano utili al fisco come anche l'altra gente".    Abbiamo quindi provveduto noi legati dell'imperatore che il duca Giovanni desse garanzia che riparerà tutto il suddetto [concernente] le sovrangarie il diritto sulle ghiande e sul fieno, i lavori e le collette, gli Slavi, le angarie, e la navigazione. E le garanzie furono ricevute da Damiano, Onorato e Gregorio. Anche lo stesso popolo ritrasse le incriminazioni a condizione che simili cose non avvengano più.

 


 

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Dal '400 all' 800

 

Dal Medioevo al XVIII secolo le condizioni di vita della popolazione del carso continuarono ad essere dominate dalla necessità di difendersi e di procurarsi il sostentamento: tra le incursioni degli Ungari alla fine del primo millennio e quelle dei Turchi nel XVI secolo sorsero i castelli, i villaggi, le chiese, le fortificazioni.

I Turchi provenienti dalla Bosnia arrivarono sul carso alla fine del '400: incendiarono e distrussero Basovizza, Prosecco, Duino, Monfalcone e continuarono le loro incursioni fino al '500. Grazie alle loro fortificazioni la città di Trieste e i castelli non subirono gravi danni, ma i villaggi e le chiese vennero saccheggiati a più riprese. I contadini si rifugiavano in grotte, fino a quando si iniziarono a costruire, sulle alture adatte alla difesa, dei fortilizi chiamati tabor: il Tabor di Monrupino fu forse edificato dopo l'incursione turca del 1470, attorno alla chiesa preesistente.

Alla fine del '400 anche gli Ungheresi, spinti dalla ricerca di uno sbocco sul mare, percorsero il carso. Nel 1485, guidati da Erasmo Luogar, furono ricacciati a Duino dai Triestini. Erasmo si rifugiò nel castello di Predjama, dove fu assediato e ucciso.

Furono quindi secoli di devastazioni e di fame, aggravati dalle continue richieste, da parte dell'imperatore, di uomini e di denaro per far fronte alle guerre contro Turchi e Ungheresi.

Nemmeno le riforme compiute nel '700 da Carlo VI e da Maria Teresa, che trasformarono Trieste in un grande porto e in una città emporio ricca e cosmopolita, portarono particolari vantaggi alle popolazioni del carso, che anzi ne risentirono a causa della concorrenza dei mercanti stranieri, che commerciavano olio, vino, cereali a prezzi inferiori di quelli locali.

 

 

 

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Aggravarono la situazione periodi di siccità o stagioni troppo fredde, che in alcune annate del '700 e dell'800 provocarono gravi danni alle vigne e agli oliveti e causarono terribili carestie come quella del 1782 o del 1817, ricordato come "l'anno della fame" (le autorità acquistarono grano in Ucraina per distribuirlo alle famiglie povere).

Ma la politica degli Asburgo portò anche alcuni vantaggi alle popolazioni contadine del carso: nel 1781 Giuseppe II cancellò la servitù della gleba con il Decreto di emancipazione, che offriva la libertà di abbandonare la terra. La maggior parte della popolazione dell'altipiano, tuttavia, restò al paese; solo i più disperati scesero alla città, che offriva, nel suo turbinoso sviluppo e nei suoi rischi, la possibilità di far fortuna.

Benefici effetti sui carsolini ebbe pure un'altra positiva riforma di Giuseppe II, deciso a laicizzare lo stato: la cancellazione della Stollordnung (il diritto di stola), che permetteva ai parroci di farsi retribuire la somministrazione dei sacramenti.

Le condizioni di vita della popolazione del carso iniziarono a mutare radicalmente nel corso dell'800, grazie allo sviluppo della rete stradale e ferroviaria che i traffici portuali della città di Trieste esigevano e che l'Austria favorì: la realizzazione della Südbahn (Ferrovia Meridionale) che portava a Vienna e poi a Budapest, a partire dal 1857, comportò anche l'intensificazione dell'attività delle cave di pietra di Aurisina.

Gli abitanti del carso, fino a quel momento contadini, trovarono nuove possibilità di impiego nella costruzione delle nuove strade, della linea ferroviaria, diventarono manovali, cavatori, scalpellini. Alla fine dell'800 nella Cava Romana di Aurisina , proprietaria anche di altre cave in Carso e in Istria, lavoravano 12.000 operai.

Anche la vivace attività portuale e cantieristica di Trieste richiedeva costante afflusso di forza lavoro: molti carsolini scendevano quotidianamente alla città per lavorare, ma altri lasciarono il paese e si inurbarono progressivamente nei nuovi rioni popolari di Servola, San Giacomo, San Giovanni. Il proletariato triestino divenne sempre più etnicamente misto nel corso dell'800.

Le donne contribuivano all'economia familiare rispondendo alla sempre maggior necessità di prodotti freschi della campagna che la città in crescita manifestava: le "donne del latte", o "mlècherze" , scendevano ogni mattina dal carso con i grandi recipienti del latte, da 12 o 15 litri, poggiati sul capo; le "brèschize" giungevano quotidianamente dal breg (ciglione carsico) per vendere il loro pane.

 

 

 


 

I DUINATI

 

Il territorio carsico, nell'XI secolo, è dominato in parte dal Marchese d'Istria, in parte dal Conte di Gorizia, entrambi feudatari del Patriarca di Aquileia; dal XII secolo i Patriarchi lo assegnano ai Duinati, che estendono progressivamente il loro dominio su tutto il Carso.

Un documento del 1139 in cui si discutono i confini tra i possedimenti dei Duinati e quelli della Comunità tergestina testimonia l'affrancamento della città dai vincoli feudali e il suo imminente passaggio a Libero Comune; i confini iniziano a metà della baia di Sistiana, risalgono fino all'attuale statale 14, corrono verso Prosecco, Opicina, Trebiciano, Basovizza, seguendo il Rosandra fino al mare.

 

 

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Il territorio carsico a monte di questo tracciato è dichiarato di dominio dei Duinati. Contrasti e liti continueranno ancora, tuttavia, fino al '700.

Il più importante dei Duinati fu Ugone VI, che sostenne i Triestini nella loro lotta contro i Veneziani, nel 1368-69, difendendo la città assediata con azioni sul Carso. Come ricompensa, dopo la Dedizione del Comune di Trieste agli Asburgo, nel 1382, fu nominato Capitano di Trieste. Con il suo successore, Ugo VII, tuttavia, la casata si estinse.

Il feudo passò ai Walsee e successivamente, nel 1653, ai Torriani, che amplieranno e abbelliranno il Castello di Duino fino alle dimensioni attuali, governando il territorio fino alla fine del XVIII secolo, quando Giuseppe II abrogherà i diritti feudali in tutti i territori dell'Impero Asburgico.

 

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LA POPOLAZIONE SLOVENA DEL CARSO

 

L' insediamento della popolazione slovena tra la pianura Pannonica, le Alpi orientali e il termine settentrionale dell' Adriatico risale più o meno al VI secolo, contemporaneamente alla dominazione longobarda, bizantina e avara.

In seguito si consolida in uno stato più a settentrione, il principato di Carantania, e si stabilizza nel VII e VIII secolo con la dominazione dei Franchi. Pipino, figlio di Carlo Magno intraprese una guerra contro gli Avari, tra il 791 e il 811, che si concluse con la vittoria dei Franchi; aumentando i territori gli Slavi ebbero la possibilità di insediarsi e di coltivare le terre spopolate dalle guerre e dalle pestilenze. I primi abitanti slavi del territorio del Carso furono quindi guerrieri ed agricoltori sottomessi ai sovrani Franchi.

Ce lo testimonia il Placito del Risano dell' 804, una dichiarazione nella quale il Duca Giovanni, vassallo di Carlo Magno, assicurava agli abitanti dei municipi di Trieste il mantenimento delle antiche consuetudini amministrative romane.

All'epoca Carolingia risalgono anche i Monumenta Frinsingensia (Brizinski spomeniki), i primi documenti scritti in lingua slovena che prendono il nome dalla città bavara di Frisinga dove furono trovati. Costituiscono una sorta di manuale liturgico per i missionari che evangelizzavano la popolazione slovena nel IX secolo.

La cristianizzazione fu però ostacolata dai nobili carantani, che si ribellarono sia al cristianesimo sia all'imperatore nell'802.

Tra il X e XI secolo i presìdi sloveni vennero utilizzati per ripopolare le zone spopolate dalle incursioni ungariche: il patriarca di Aquileia trasferì dai suoi feudi nell'attuale Slovenia numerosi abitanti.

 

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Da allora i limiti degli insediamenti rimasero quasi invariati sia a ovest che attorno a Trieste. Gli sloveni in quest'area costituirono la totalità della popolazione rurale, artigiana, operaia e dei pescatori divenendo parte della città stessa.

Nel 1500 la costa dei contadini e pescatori sloveni venne spartita tra i territori di Trieste e della Signoria di Duino.

Nel 1735 , dopo l'istituzione del Porto Franco da parte di Carlo VI, la popolazione della città, a maggioranza italiana, era di 3865 abitanti: quella del territorio carsico, perlopiù slovena, ne contava 3386.

Sotto il dominio di Maria Teresa l'economia e la popolazione di Trieste continuarono a crescere grazie anche alle immigrazioni europee e mediterranee, ma il suo territorio rimase etnicamente stabile: gli sloveni del Carso continuarono a costituire la maggioranza e a dedicarsi all'agricoltura e alla pesca ( soprattutto del tonno), ma fornirono anche manodopera per l'industria triestina.

Le riforme economiche provocarono infatti anche una differenziazione sociale tra gli sloveni: parte dei contadini si trasformarono in artigiani, operai, ma anche in membri della classe media della città.

Nella seconda metà dell'800 sorgono nella città le Čitalnice (gabinetti di lettura), centro di dibattito culturale della popolazione slovena, uno dei primi segni dello sviluppo dello slavismo. Nel 1855 in un accordo stipulato con Vienna gli sloveni non tardano a farsi sentire: nella Dieta Istriana partecipano 30 deputati e i vescovi di Capodistria, di Pola e di Veglia.

Cominciano a svilupparsi i primi nazionalismi e anche le prime tensioni tra popolazione slovena e italiana. Nasce la prima organizzazione operaia slovena, Pchela (l'Ape), a cui seguono numerose associazioni culturali e politiche tra cui, nel 1849, lo Slavjanski Radoljub (Il Patriota Sloveno), l'Edinost (un'agenzia che fa parte della Narodni Dom, centro culturale sloveno), dalla quale, nel 1875, prende il nome il primo quotidiano in lingua slovena.

 

 

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Nel 1888 viene aperta la prima scuola elementare slovena, e si registrano le prime prediche bilingui nel suburbio.

Il fascismo annullò tutte le mete raggiunte la popolazione slovena: nel 1920, venne incendiato l'Hotel Balkan, sede della Narodni Dom. La dittatura fascista attuò una politica di snazionalizzazione, sopprimendo la scuola slovena, italianizzando 2000 cognomi; nel 1929 c'era una situazione di tale tensione, che vennero impiegate le leggi speciali, utilizzate solitamente in stato d'assedio, per mantenere l'ordine pubblico.

Oggi la maggior parte degli sloveni risiede in Carso ma anche nella città, nei rioni di Servola, a San Giovanni, a Barcola e a San Giacomo.    Leggi nazionali ( L. 1012 / 61, L. 932 / 73) garantiscono nelle province di Trieste e di Gorizia scuole con lingue d'insegnamento slovena, ma il decremento demografico rende sempre più difficile mantenere le scuole elementari, con pochi iscritti, nei paesi dell' altopiano carsico.

La presenza diffusa della scuola è tuttavia un elemento fondamentale di tutela della lingua e della cultura slovena.

Tra le più importanti istituzioni ricordiamo la Slovenska kulturna gospodarska zveza (Unione culturale ed economica slovena) fondata nel 1954, che gestisce la maggior parte dei circoli culturali e sportivi nella regione. Lo Slovensko gosposrstvo zotruzenje (Associazione economica slovena) raggruppa numerose società commerciali, artigiane, negozianti ed esercenti; la Slovenska prosveta raggruppa i circoli culturali cattolici sloveni. Un'importante opera culturale è svolta dal teatro stabile sloveno, Stalno slovensko gledalisce.

La stampa slovena propone due giornali: il Primosrski Dnevnik ed il Gospodarstvo.

 

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