IL NOVECENTO

 

Il primo Novecento

La Grande Guerra sul monte Ermada

La seconda guerra mondiale

Il grande esodo

 


 

Il primo Novecento

 

All'inizio del Novecento il carso si presenta fortemente sloveno. Pur costituendo gli sloveni forza lavoro indispensabile alla città di Trieste, la loro integrazione urbana non è facile a causa del nazionalismo irredentista delle classi dirigenti che li vorrebbero costringere all' italianizzazione. D'altra parte coloro che rimangono sul carso affermano con orgoglio e forza la loro appartenenza al mondo slavo: si approfondisce perciò la frattura tra la città e il suo circondario.

La prima guerra mondiale, che coinvolge il carso triestino occidentale, aggrava la situazione : Duino, S.Giovanni in Tuba, Medeazza, Malchina, Ceroglie, Slivia vengono completamente distrutte. Sistiana e Aurisina , importante nodo ferroviario , sono gravemente danneggiate.

La linea del fronte corre sulle alture carsiche. Il carso, per le sue caratteristiche morfologiche - grotte, doline, avallamenti, rocce a strapiombo sul mare - si presta alla difesa ad oltranza. Il monte Ermada , per la sua posizione dominante, costituirà una postazione ferocemente contesa tra il Reggimento Toscana e gli Austriaci .

Il 24 maggio 1915, all'entrata in guerra dell'Italia, italiani e austriaci si trovano opposti sulle rive dell'Isonzo : la Terza Armata, in cui affluiscono volontari triestini irredenti - come Scipio Slataper - è comandata dal Duca d'Aosta; la Quinta Armata Austroungarica, in cui sono rappresentate tutte le nazionalità dell'impero, Croati, Dalmati, Boemi, Polacchi, Sloveni, compresi i triestini di lingua slovena ed i carsolini, è comandata dal Feldmaresciallo von Boroevic. Gli italiani di Trieste e della Venezia Giulia, invece, sono inviati dal comando Austroungarico prudentemente sul fronte della Galizia.

Anche i civili del territorio carsico si trovano in territorio di guerra: dopo il bombardamento di Duino, il 12 giugno 1915, iniziano a sfollare, soprattutto in Stiria.

Le battaglie sono sanguinose, i bombardamenti devastanti; l'economia e la natura del carso vengono stravolte.

Il 4 novembre 1918 gli austriaci firmano la resa e la guerra finisce. Trieste viene "redenta", accoglie l'Italia con gioia. Per il carso sloveno, invece, iniziano nuovi problemi, soprattutto negli anni Venti, quando il regime fascista attua una forte politica di snazionalizzazione. Gli anni tra le due guerre sono segnati in carso dall'azione dei tribunali speciali del fascismo e dagli attentati compiuti da gruppi di nazionalisti sloveni. Fucilazioni e attentati si susseguono, scavando un solco sempre più profondo tra le due etnie che abitano lo stesso territorio.

 

 

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La Grande Guerra sul monte Ermada

 

Durante la prima guerra mondiale la zona del monte Ermada fu teatro di aspri combattimenti tra l' esercito Austroungarico e quello Italiano. Oggi a ricordo di queste vicende, sulla strada che da Monfalcone conduce a Trieste, all'altezza del bivio con la strada che porta a Gorizia si trovano il monumento ai soldati della brigata Toscana ( Lupi di Toscana ) e la lapide fatta erigere dal comando della Terza Armata Italiana .

Anche l'acquedotto di Trieste, costruito nel 1929, che si trova poco prima del bivio sul lato sinistro della strada, porta il nome del maggiore Randaccio , comandante dei Lupi di Toscana, caduto eroicamente nella zona del Timavo.

II centro delle operazioni militari fu il monte Ermada, che con i suoi 323 metri domina la serie di colline che chiudono il carso triestino da SO a NE, separandolo dalla pianura friulana.

Esso costituiva per l' esercito italiano l'ultima zona di conquista per arrivare a Trieste, città appartenente all'impero Austroungarico, ma duramente contesa tra l'irredentismo giuliano e italiano e gli interessi asburgici. Gli Austriaci lo trasformarono in una fortezza, tracciando numerosi sentieri che ancora oggi si possono percorrere alla ricerca dei ricordi di quel tragico periodo.

 

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Fu nella primavera e nell'estate del 1917 che gli italiani scatenarono gli attachi più duri, la decima e l'undicesima offensiva dell'Isonzo. Nella decima, che ebbe inizio il 22 maggio, le truppe italiane, a costo di gravissime perdite, riuscirono a superare alcune linee nemiche e a guadagnare i primi contrafforti del monte, raggiungendo i 175 metri di quota nei pressi di Medeazza. Fu il punto di maggior penetrazione che gli italiani raggiunsero.

Un'altra azione importantissima venne compiuta nella zona del Timavo: nella notte del 28 maggio i reparti del primo battaglione della Brigata Trapani e i reparti del primo reggimento della Brigata Toscana riuscirono ad attraversare su una passerella di fortuna il Timavo, puntando verso il Villaggio del Pescatore.

Pareva che la strada verso il castello di Duino, dove il poeta irredentista Gabriele d'Annunzio voleva piantare il tricolore della gloria, fosse aperta, ma l'esercito Austriaco difese con tenacia le proprie posizioni e i rinforzi Italiani non arrivarono. Così furono costretti a riattraversare il Timavo sotto il fuoco degli Austriaci, che li massacrarono.

Allora morì anche il maggiore Randaccio. L'offensiva, costata 68.000 uomini, portò all'avanzamento del fronte italiano di due chilometri. Finì lì per esaurimento delle forze.

L'undicesìma offensiva partì la notte del 18 agosto 1917, preceduta da un intenso cannoneggiamento, ma non ebbe successo; l'esercito austriaco riuscì a riprendersi il territorio che

aveva perso in maggio. Le perdite furono di 40.000 uomini dalla parte italiana.

In totale la tentata conquista dell'Ermada era costata alla Terza Armata oltre 100.000 uomini, cifra spaventosa, tanto più che la ritirata dopo Caporetto, a ottobre dello stesso anno, avrebbe vanificato tutti quegli eroici sforzi.

 

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La seconda guerra mondiale

 

Anche la seconda guerra mondiale coinvolse profondamente Trieste e il suo territorio, causando lacerazioni ancor più gravi che nel primo conflitto.

In seguito allo smembramento della Jugoslavia, nel 1941, la Slovenia diventò una provincia italiana: al suo interno si accese presto una guerra partigiana contro l'occupazione ed i carsolini dell'esercito italiano, considerati con sospetto per la loro cultura slava, vennero raggruppati in battaglioni speciali e allontanati, per lo più in Sardegna.

La polizia fascista operava uno stretto controllo sugli sloveni del carso e della città sospettati di azioni sovversive: numerosi sloveni vennero fucilati per sentenza del Tribunale speciale.

Quando il croato Josip Broz Tito costituì, nel 1942, l'Esercito dei Partigiani e dei Volontari per la Liberazione Nazionale, nucleo del futuro esercito jugoslavo, l'attività partigiana si rinforzò anche in carso, operando continui sabotaggi.

Dopo l'8 settembre 1943, quando l'esercito italiano era allo sbando, molti si unirono alle Brigate Partigiane e nella regione si formarono, oltre a numerose brigate italiane, una trentina di battaglioni sloveni. Alcuni di questi vennero annientati dall'immediata offensiva tedesca, appoggiata dalle truppe fasciste e da collaborazionisti sloveni. Nel dicembre i superstiti sloveni si riunirono nel IX Corpus d'Armata dell'Esercito di Liberazione, gli italiani nel Battaglione Triestino del Carso.

 

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Azioni partigiane e rappresaglie tedesche e fasciste si susseguivano: Malchina, Ceroglie, Medeazza, Visogliano vennero distrutte quasi totalmente. Le incursioni aeree e i bombardamenti americani aggravarono le condizioni della popolazione civile.

Ogni paese del carso ha una lapide o un monumento che commemora i suoi morti: circa 600, su un totale dei 10.000 che abitavano l'altipiano negli anni 40.

Nella primavera del 1945 le Brigate Partigiane conquistarono il carso e per la seconda volta, dopo il '43, si compì il dramma delle foibe: nelle cavità carsiche vennero gettati centinaia di corpi di tedeschi, di fascisti, ma anche di sloveni o di croati anticomunisti, di persone sospettate di collaborazionismo, di vittime di vendette private. Il ricordo della crudeltà delle foibe, conseguenza della sete di vendetta dei vincitori slavi nei confronti dell'oppressione nazionalista dei fascisti e dei nazisti, è vivo e sanguinante ancora oggi e continua a tenere lontane e diffidenti le due etnìe che popolano lo stesso territorio.

Ma accanto alle persistenze dell'intolleranza e dei nazionalismi, dalla fine del XX secolo ha progressivamente preso vigore una cultura della convivenza, della conoscenza e dell'arricchimento reciproci, che possono dominare il secolo nuovo.

 

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Il grande esodo

 

La conclusione della seconda guerra mondiale portò ad uno sconvolgimento degli equilibri politici al confine orientale ed a modificazioni profonde nell'assetto territoriale  di Trieste e dell'Istria. Anche il carso triestino risentì degli effetti dei massicci spostamenti della popolazione che aveva abbandonato l'Istria, Fiume, Zara, le isole del Quarnaro, le zone cioè passate dall'Italia alla Jugoslavia in seguito al Trattato di pace del 1947 e al Memorandum di Londra del 1954.

Circa 250.000 furono i profughi che abbandonarono le loro case, la terra, i beni per paura delle violenze del nuovo regime jugoslavo, per ragioni ideologiche o per ragioni economiche.

L' amministrazione italiana e il  GMA   emanarono una serie di provvedimenti per facilitare l'inserimento di questa grande massa di esuli, fornendo assistenza, casa, lavoro: furono edificati dei Campi Profughi in carso (Prosecco) e costruiti nuovi borghi per accogliere gli esuli: nel comune di Duino Aurisina nacquero così negli anni 50 il Villaggio del Pescatore  e Borgo San Mauro.

L'esodo fu un fenomeno lungo, durato una decina di anni, da prima della fine della guerra alla seconda metà degli anni '50. Due furono le fondamentali ondate migratorie, legate ai momenti in cui più chiaramente gli abitanti dell'Istria maturarono la consapevolezza che la loro regione non sarebbe tornata all'Italia : la prima successiva al Trattato di Pace di Parigi, nel 1947, la seconda conseguente al Memorandum di Londra, dell'ottobre 1954. Ma uno sfollamento di massa era già avvenuto anche a Zara, in seguito ai bombardamenti alleati dell'autunno 1944.

Le prime città a svuotarsi furono Fiume e Pola, che avevano subìto la dura esperienza dei tentativi di snazionalizzazione della popolazione italiana da parte del regime jugoslavo e che avevano sentito ripetersi la "grande paura" delle violenze e degli infoibamenti del 1943.

Gli ultimi ad andarsene furono gli abitanti della zona B del Territorio Libero di Trieste  , perlopiù contadini legati alla propria terra.

La Nota Tripartita anglo-franco-americana del 20 marzo 1948 aveva fatto sperare alla popolazione la possibilità di un ritorno all'Italia; la delusione - da cui la decisione di partire - fu chiara alla fine del 1953, con la Nota Bipartita anglo-americana dell'8 ottobre, che faceva prevedere una spartizione del Territorio tra Italia e Jugoslavia, effettivamente compiuta con il Memorandum d'Intesa l'anno successivo.

Ci furono anche coloro che fecero la scelta di non partire : si calcola che siano rimasti nelle loro terre circa il 10% del gruppo nazionale italiano.

 

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Memorandum di Londra

     Il Protocollo  d'Intesa firmato a Londra il 5 ottobre 1954, dopo mesi di trattative segrete, dai rappresentanti jugoslavo, italiano, inglese e americano, sancì definitivamente i confini tra Italia e Jugoslavia, ponendo fine alle amministrazioni provvisorie e attribuendo la zona A all'Italia e la zona B alla Jugoslavia.          

    Definì inoltre i principi di uno "Statuto particolare" che prevedeva eguaglianza di trattamento per il gruppo etnico italiano in Jugoslavia e per quello jugoslavo in Italia, con pari diritti rispetto agli altri abitanti delle due zone.

 

 


Le cifre dell'esodo

      250.000 è la cifra proposta da Carlo Schiffrer nel 1958. Nonostante le ulteriori ricerche in corso, è ancora oggettivamente difficile quantificare il fenomeno dell'esodo, in quanto i dati istituzionali non comprendono la totalità dei migranti: la qualifica di profugo fu attribuita a circa 200.000 persone, ma vi furono anche esuli che migrarono oltre oceano, soprattutto verso l'Australia, senza fermarsi in Italia.

    Stime di parti diverse oscillano tra un minimo di 200.000 (in genere formulate da chi tende a ridimensionare il fenomeno) ad un massimo di 350.000 (cifra fornita dalle associazioni degli esuli).

    Le stime si riferiscono alla totalità dei profughi, a prescindere dalla loro nazionalità. La componente maggioritaria fu costituita dal gruppo nazionale italiano - tutti gli abitanti dei centri urbani - ma, oltre a famiglie mistilingui, anche una certa parte di popolazione slovena e croata lasciò la Jugoslavia per motivi politici ed economici.

 

 


 

GMA

    Il  Governo Militare Alleato angloamericano fu costituito a Trieste il 13 giugno 1945, alla partenza delle truppe jugoslave, dopo i "quaranta giorni" della violenta dominazione della città da parte di Tito.

   Concepito secondo il modello del Governo Diretto - Direct Rule - , divenne l'organo di governo assoluto della zona A: smantellati i provvedimenti presi dagli jugoslavi, ricostituì in gran parte il precedente apparato amministrativo italiano.

    La sua azione si concluse il 26 ottobre 1954, dopo il Memorandum d'Intesa e il ritorno della zona A all'Italia, quando il generale De Renzi entrò a Trieste con reparti di marinai e di bersaglieri e assunse le funzioni provvisorie di Governatore Straordinario della Zona A.

 


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